Un treno carico carico di... Speranza
Poi ti capita di imbatterti
in un post-it (cosa ben diversa da un post!) che ti indica il libro vincitore
del premio assegnato dalle libraie e dai librai della catena Giunti al punto.
Si intitola Il treno dei bambini, scritto da Viola Ardone e pubblicato da Einaudi
Stile libero. Mi basta sapere da una entusiasta e brava libraia che la
trama poggia su un aspetto della nostra storia nazionale che lei, come molti
altri – me compresa – ignoravano. Nel secondo dopoguerra, in Italia, per
iniziativa del Partito comunista, molti bambini meridionali vengono ospitati
per alcuni mesi da famiglie del Nord, un modo per strapparli alla miseria
seguita al conflitto. Non sfugge il fatto che strapparli alla miseria in questo
caso corrisponde a strapparli però anche alle loro famiglie.
Sono conquistata. E,
nonostante la pila di libri sia già completa, faccio spazio per questo
ulteriore acquisto che scala anche la mia
classifica e diventa il primo a essere letto.
Scopro un libro e una storia
che ti arrivano dritti al cuore. E te lo riempiono di sentimenti, anche
contrastanti.
C’è la tenerezza di fronte a un mondo che ti si schiude davanti
agli occhi mentre sei guidato dalle parole genuine e disincantate di un bambino
della Napoli popolare dell’immediato dopoguerra. Lui è Amerigo Speranza, figlio
dei rioni e dei vicoli. La sua casa è la strada affollata di uomini e di donne
che diventano i componenti di una grande famiglia allargata. Un mondo in cui le
persone si fanno personaggi: ai nomi devi aggiungere il ‘contrannome’ se vuoi
capire di chi stai parlando. Amerigo vive con la sua giovane madre, rimasta
sola con un figlio da crescere e senza mezzi per farlo. Amerigo ha sette anni
quando lo incontriamo intento a portare avanti il suo personalissimo ‘gioco
delle scarpe’ al seguito di sua madre.
Al centro della storia –
raccontata in prima persona dal protagonista – c’è il legame madre-figlio. Un rapporto fatto
anche di abbracci non dati e parole non dette. Di un affetto che passa anche attraverso
gesti che possono sembrare duri, dettati dalla povertà. “Tua mamma Antonietta
di carezze non ne ha mai avute e perciò non ne tiene da dare” spiega una delle
signore del rione a un deluso Amerigo di ritorno dalla famiglia del Nord.
E c’è la sofferenza delle
scelte di fronte alle quali la vita ti pone. Succede alla mamma di Amerigo che,
come molte altre nelle sue condizioni, si trova a dover decidere se separarsi
da suo figlio, per il suo bene. Con il rischio che, conoscendo il benessere, il
ritorno alla normalità abbia un impatto anche più devastante su di lui.
Ma ‘il treno dei bambini’ si
riempie. Si riempie di figli del Sud, delle loro paure, delle loro aspettative
e della loro curiosità verso un mondo sconosciuto.
È un libro che ti sorprende, raccontandoti
uno spaccato della storia italiana sconosciuto ai più. Ti intenerisce.
Mostrandoti un Nord visto con gli occhi di bambini il cui sguardo fino ad
allora non era andato oltre le case e le botteghe del quartiere. Occhi che scambiano la mortadella per
‘prosciutto con le bolle’, forse avariato – arrivano a pensare con sospetto per
poi scoprire che invece è buonissima.
Un libro di scoperta, anche
per il lettore che non può non affezionarsi ad Amerigo. A quel bambino dai
capelli rossi che sembra destinato a sentirsi sradicato ovunque (nella ‘casa di
prima’ come nella casa che lo accoglie a Modena). E che prende una decisione
troppo grande per la sua età. Eppure Amerigo, dopo aver ‘assaggiato’ insieme
alla mortadella la vita fatta di possibilità, di case accoglienti con le
camerette per i bambini, di abbracci e di torte per il compleanno, di una
scuola che ti premia se ti impegni, e dopo aver stretto un legame con la famiglia
del Nord, non riesce a tornare indietro o, meglio, a restare indietro. Attraversa
la sua sliding door, superando anche il verghiano ‘ideale dell’ostrica’. Torna
al Nord, anzi ci scappa letteralmente. Prendendo un treno il cui ‘biglietto’ ha
un prezzo altissimo. Dietro di sé lascia una vita che sarebbe stata
completamente diversa e, soprattutto, lascia sua madre. Davanti a sé il sogno
della musica che, una volta accarezzato, non aspetta altro che tramutarsi in
realtà.
È un libro che ti fa anche
provare amarezza di fronte a quella che sembra l’ingiustizia più grande alla quale si
possa pensare: vedere una madre lontana da suo figlio e viceversa. Un sentimento che sembra essere condiviso dal protagonista, un dramma
raccolto in quel “Ci siamo voluti bene da lontano”.
È un libro che parla di
legami – familiari e di amicizia – ritrovati malgrado anni e chilometri di
distanza. Che ti colpisce al cuore. Ti invita a riflettere. È un libro che vibra di Speranza. E di vita.
Complimenti 😊
RispondiEliminaMi hai incuriosita e invogliata a leggerlo
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