Rebecca West, musica per i lettori
Ci sono libri che ti fanno
compagnia. Li riconosci subito: le pagine sono tante, allettanti. Ti tentano,
come quando in una pasticceria vieni attratto dal dolce più sontuoso,
succulento. E allora decidi di gustartela quella storia. Magari non proprio romanzi
da leggere tutto d’un fiato. Anche scoraggianti, se si considera la mole di
pagine. Ma che promettono di non lasciarti solo, di adottarti, facendoti
entrare in un mondo fatto di affetti, legami, incomprensioni. Libri che, una
volta conquistato il cuore e la curiosità del lettore, difficilmente verranno
abbandonati. A costo di notti insonni e magari anche di qualche cedimento, ma
che alla fine premiano l’impegno, fino a quasi farti sentire la mancanza dei
personaggi diventati, appunto, familiari. È il caso della saga della famiglia
Aubrey, nata dalla sapiente penna di Rebecca West.
Posso parlarvi, per ora, di
due dei libri della trilogia, pubblicati da Fazi editore. Nell’ordine La famiglia Aubrey e Nel
cuore della notte, entrambi nella traduzione di Francesca Frigerio. E
devo subito farvi una confessione: ebbene sì, ho letto prima il secondo libro,
e cioè Nel cuore della notte e solo
dopo La famiglia Aubrey. E vi devo
anche dire che si può fare. Anzi, non solo si può; io, addirittura, lo
consiglierei. Nel mio caso sono stata attratta durante una delle visite in
libreria dalla grafica della copertina e dalla trama. E così ho iniziato a
leggere, nel cuore della notte (per restare fedele al titolo). E a fare la
conoscenza della famiglia attraverso il racconto di Rose, gemella di Mary e
figlia di Clare e Piers (che nel secondo
romanzo compare come assenza). A completare il quadretto famigliare ci sono la
sorella maggiore Cordelia e il fratello Richard Quin. Ci sono la cugina
Rosamund e sua madre Constance. C’è la governante Kate. Ma questo non deve
trarre in inganno: la famiglia Aubrey (la cui trilogia viene completata dal
romanzo dal titolo Rosamund) non è
ricca. Colta, ma alle prese con mille difficoltà economiche. Lontana dagli
stereotipi dell’Inghilterra di fine Ottocento. Loro sono eccentrici, e si
autodefiniscono così. E no, leggendo prima il secondo romanzo a loro dedicato,
queste sfumature non le perdi, anzi, le cogli nell’evoluzione dei personaggi e,
se possibile, ti viene ancora più voglia di conoscere come erano in origine,
come si sono presentati al pubblico dei lettori, dei quali ormai senti di far
parte a pieno titolo. Come cioè si arriva a quel dopo che riesci a leggere e
comprendere anche senza un prima.
Dell’unione delle due
gemelle, del loro talento musicale coltivato dalla mamma e del disagio nei
confronti della sorella maggiore, della loro adorazione per il fratellino e del
legame con la cugina Rosamund, si apprende molto nel secondo capitolo della
trilogia. Qui le bambine del primo libro hanno lasciato il posto a giovani donne.
Le gemelle sono diventate pianiste affermate, seguite dalla loro talentuosa e
tormentata madre. Cordelia si incammina verso il matrimonio e il piccolo di
casa è ormai un ragazzo dal forte appeal. Gli eventi che riguardano la famiglia
si susseguono. E, proprio come accade nella vita reale, ci sono momenti e parti
del libro più lente, altre più movimentate. A tenerle unite la grande capacità
di scrittura dell’autrice, la londinese Cicely Isabel Fairfield (1892 – 1983) che
firma i suoi scritti con lo pseudonimo tratto da un personaggio di Ibsen.
Ci sono pagine di descrizioni
potenti, nelle quali ti perdi, senza però sentire la necessità di una bussola.
Perché dalla letteratura è bello anche farsi trasportare.
Sulla trama non mi dilungo,
perché la storia va scoperta. O, come nel mio caso, va ricomposta. Riavvolgendo
il nastro per tornare all’inizio della vicenda. Un po’ come costruire un puzzle
dopo aver visto l’immagine finale, ma non per questo perdendo i dettagli che
soltanto le singole tessere sanno custodire.
Altra ammissione: ebbene sì,
ho acquistato il primo (cioè il secondo) libro col pensiero (e con il cuore)
rivolto a Piccole donne. Ma la storia
della West e un’altra cosa.
Ultimo consiglio di lettura: nei
romanzi ci sono diversi riferimenti a opere musicali. Io mentre leggevo le
pagine, smartphone alla mano, ogniqualvolta mi imbattevo in un titolo di
un’opera classica sono andata a cercarla, e ad ascoltarla. Secondo me è un modo
nuovo per entrare ancora più in profondità nella storia. È come dare una
colonna sonora all’episodio raccontato. Come nel primo romanzo, quando la
famiglia si riunisce per il Natale e la mamma comincia a suonare un
arrangiamento per pianoforte dell’Oratorio di Natale di Bach mentre i piccoli
intonano Bianco Natal. O, sempre nel
primo libro della trilogia, capita di imbatterti nell’Aria sulla quarta corda di Bach, scoprendo note familiari. Non
solo. Oltre alla passione e alla conoscenza della musica e della letteratura
emerge quella per la botanica, con tanti rimandi a piante e fiori. Anche quelli
sono andata a cercare, riuscendo in qualche caso anche a dare un nome a fiori
che conoscevo benissimo e che avevano fatto da sfondo alla mia infanzia in
campagna. Basterebbero questi spunti. Ma ovviamente questi due romanzi sono
davvero tanto altro. Pronta per Rosamund!
Commenti
Posta un commento