Il 'mistero' in una stanza

 

Intrigante e intricato. Come solo i gialli, quelli ben pensati e ben scritti, sanno esserlo. L’enigma della camera 622 di Joël Dicker, pubblicato da La nave di Teseo, è un romanzo ‘sincero’, in netto contrasto con quel che avviene al suo interno ad opera dei protagonisti. Un romanzo cioè che si dichiara per quel che è: un enigma.

Scritta in maniera arguta dalla sapiente penna di Dicker, la storia trova il suo perno nell’hotel extra lusso sulle Alpi svizzere, il Palace de Verbier. È qui (nella stanza del titolo) che, la notte dell’elezione del nuovo presidente di una importantissima banca ginevrina, viene commesso un delitto. Sono molti i sospettati dell’assassinio, ma pochi gli indizi. E così non se ne riesce a venire a capo. Passano quindici anni, e sulle tracce del colpevole di quel crimine ormai datato e consegnato all’oblio (almeno nelle intenzioni dell’hotel) ci finisce una improbabile coppia. Lui, lo Scrittore, affetto dalla “malattia degli scrittori”, ovvero dal “desiderio continuo di scrivere” e lei, una donna brillante e intraprendente: entrambi ospiti dell’hotel, incuriositi dal vecchio mistero, si mettono a indagare con lo scopo di trarre un romanzo dalla vicenda che si preannuncia tanto complicata, ma altrettanto affascinante.

Il passaggio-chiave: “Quando si vuole veramente credere a qualcosa, si vede solo quello che si vuole vedere”.

Il mio preferito: “Dove vanno i morti? Ovunque ci si possa ricordare di loro. Soprattutto tra le stelle. Perché queste non cessano di seguirci, danzano e brillano nella notte, proprio sopra le nostre teste”.

La corposa narrazione si dipana lungo tre livelli temporali intermittenti e fortemente intrecciati tra loro: il presente (con le indagini della coppia), il passato (cioè cosa avvenne ai tempi dell’omicidio) e un tempo che potremmo indicare con il “trapassato” o, meglio, quello che in inglese possiamo definire con un’espressione molto eloquente il ‘past before the past’ ovvero, il passato prima del passato (nel nostro caso, cosa era avvenuto negli anni precedenti all’assassinio e forse aveva portato a quel tragico epilogo). Tre livelli e mille pieghe lungo le quali la storia scorre prendendo percorsi impensati.

Il carattere dei personaggi è reso dall’autore attraverso il loro vissuto, andando all'origine. Vediamo agire una persona in un dato modo, e ci facciamo un'idea. Poi però leggi di quel che è stata la sua vita e magari dalla nuova inquadratura le cose le riesci a vedere in modo diverso.

D'effetto anche l'immagine di copertina con una scelta iconografica che trasporta direttamente tra i gelidi paesaggi svizzeri.

Le oltre seicento pagine ti incollano sul divano. La mole di informazioni è gestita con maestria. Fin dalle prime pagine è un susseguirsi di eventi, di volti, di azioni, di rivelazioni e di colpi di scena. Ed è naturale che quanto più ci si addentra tra le ramificazioni della storia più i misteri si infittiscono, come in un bosco impenetrabile.

Arrivata all'ultima pagina, il primo aggettivo che mi è venuto in mente è stato "geniale". Altro 'merito' dell'autore è quello di avermi suggerito il termine giusto per le voci che, insistenti e confuse, arrivano da un locale sotto casa: “lo sciamare dei numerosi clienti” lo chiama Dicker (tradotto da Milena Zemira Ciccimarra). E così lo chiamerò da oggi anche io!

 


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