Presente!

 

Presente! Per parlare ai e dei ragazzi. Della loro straordinaria capacità di insegnarti tanto senza pretendere di farlo. Di come riescano ad arricchirti e di come si creino legami nello spazio di un’aula e nel tempo, seppur sempre troppo breve, di una supplenza. Ho alzato anch’io la mano, rispondendo all’Appello di Alessandro D’Avenia. Ho letto il suo romanzo edito da Mondadori.

Un uomo di quarantacinque anni, diventato cieco a causa di una malattia, decide di riprendere con l’insegnamento. E accetta una supplenza che lo porterà a insegnare Scienze in una quinta classe. Una classe di ragazzi difficili, così gli viene presentata. Anziché scoraggiarsi, Omero Romeo va avanti. Ciò che rende più umano il suo personaggio è il non trovarsi di fronte al professore-eroe che intraprende una battaglia in nome di un ideale. Il prof Romeo ha tante insicurezze, affronta, non senza paura, una condizione – quella della cecità – per lui nuova (ha perso la vista da cinque anni). Non ha potuto vedere il colore degli occhi di sua figlia Penelope e ha creduto di non poter continuare a vivere. È difficile non empatizzare con la sua ansia scandita dai minuti che lo separano dall’ingresso in classe dei ragazzi. Chi ha fatto esperienza d’insegnamento sa che funziona davvero così. Tante dinamiche – le relazioni che si creano con la bidella che fa da zia agli studenti, con i colleghi prof e con gli alunni soprattutto – sono tratte direttamente dalla realtà che si vive tra i banchi.

Ma come fare a conoscere i ragazzi senza poterli neanche vedere? Il prof Romeo scavalca l’ostacolo e ne fa un punto di forza. S’inventa un nuovo modo di fare l’Appello. Non solo nomi, ma storie. Ne deriva un legame forte che terrà uniti studenti e prof nella loro crociata a favore di un nuovo approccio tra professore e alunno. Nessuno li vedeva, eppure il professore che non li vede ce la fa, si legge sul risvolto di copertina. Ed è proprio così. Grazie all’Appello conosciamo Elena, Cesare, Achille, Stella, Oscar, Caterina, Ettore, Elisa, Mattia, Aurora. A dare un’espressione a quei lineamenti rimasti per troppo tempo anonimi sono le storie raccontate dagli stessi ragazzi. Basta uno spunto da parte del professore e loro – alcuni non senza iniziali reticenze, ma tutti con una invidiabile capacità introspettiva – rivelano un mondo che nessuno prima del prof di Scienze era riuscito a vedere. I ragazzi maturano, prima di arrivarci alla maturità. E riescono a fare quadrato attorno al loro insegnante e a dimostrare di avere la forza di portare avanti un progetto comune. Una palestra che servirà ad allenarsi alle sfide della vita. “Salvare un nome. Per questo faccio l’insegnante e non voglio smettere di farlo anche se sono diventato cieco”.

Tra i passaggi che ho preferito: “Le lezioni non sono tragitti di metropolitana, obbligati, ma passeggiate in montagna in cui ci si ferma quando si vuole, a riposarsi, a guardare il panorama, a toccare una pianta, a osservare un volatile…”. Una lezione su come dovrebbe essere una lezione.

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